Anoressia in età adulta: un fenomeno in aumento

L’anoressia nervosa è considerata generalmente una patologia che interessa l’età adolescenziale e il genere femminile, ma i casi che insorgono precocemente – in età prepuberale- o in soggetti di sesso maschile hanno negli ultimi anni attirato grande attenzione proprio perché costituiscono una novità e sono in molti casi più gravi e complessi da trattare.
Una ulteriore novità è costituita dalla presenza di un certo numero di pazienti che sviluppano anoressia o bulimia molto più tardi della media e cioè fra i 40 e i 50 anni (in certi casi anche oltre).
Si tratta di donne che a volte hanno sofferto di disturbi alimentari anche in precedenza, ma che generalmente non sono stai riconosciuti come tali e che “riesplodono” quando nella vita della donna accadono eventi negativi piuttosto rilevanti, come una separazione o un lutto.

Alcuni casi tipici sono quelli delle donne che in adolescenza:

– hanno effettuato diete drastiche senza arrivare soddisfare i criteri per una diagnosi di anoressia, oppure erano francamente anoressiche e non sono state riconosciute come tali;

– hanno avuto per lunghi periodi pensieri ossessivi riguardanti peso e forma fisica;

– erano sovrappeso a causa della “fame nervosa” e di un comportamento alimentare sregolato.

Un fattore di rischio non secondario è costituito anche dagli abusi sessuali subiti in infanzia/adolescenza e dalla carenza di cure materne adeguate.

Queste donne sono vulnerabili alla possibilità di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare in età adulta, quando insorge un fattore ambientale/relazionale stressante che fa riemergere problematiche psicologiche prima sopite o comunque presenti in maniera più contenuta.

 

Il caso di Anna

Anna è una donna di circa 50 anni, prima di 4 figli, che durante la crescita ha dovuto occuparsi dei fratelli minori e sopperire così alle carenze della madre, occupata in un’attività autonoma a fianco del marito, al quale dedicava tutto il tempo libero.
Da ragazza era sovrappeso ed era insoddisfatta del proprio aspetto, ma doveva concentrarsi sui fratelli e sui compiti domestici, non avendo neanche il tempo per occuparsi di qualcosa che la famiglia giudicava futile, come l’aspetto fisico.
Essendo una persona capace e intelligente si è laureata e ha intrapreso una libera professione, riuscendo a perdere già prima dei 25 anni quei chili di troppo che la facevano sentire a disagio.
A 47 anni Anna ha perso una persona che considerava molto importante per la sua vita, che costituiva un appoggio e un sostegno, che la apprezzava e lodava quando nessun altro lo faceva.
In quel momento si sono riattivati in lei il senso di solitudine, la paura del rifiuto, la vergogna per il senso di inadeguatezza che si porta dentro da sempre – in quanto ex-bambina sulle cui spalle erano stati posti oneri che non le competevano quando era ancora troppo piccola.
Anna a quel punto ha cercato di superare come poteva le emozioni negative che provava a causa del lutto: avendo già raggiunto ottimi risultati in campo lavorativo si è concentrata ancora una volta sul proprio aspetto, convinta che se fosse stata “più in forma” avrebbe acquisito maggior ammirazione da pare degli altri e quindi incrementato l’autostima, che aveva ormai perso quell’importante “puntello” esterno.
Senza rendersi conto di tutto questo, da donna intelligente e pianificatrice qual è ha razionalizzato l’impulso al perfezionismo estetico e si è detta che, in vista della menopausa, sarebbe stato importante avere un fisico asciutto e allenato e prevenire così il possibile aumento di peso dovuto al cambiamento ormonale.
Il pensiero originario e autentico, rimasto inconscio: 

“dimagrisco e divento perfetta, così mi ameranno”,

è stato cambiato dalla mente razionale di Anna in:

 “è bene prevenire il rischio di sovrappeso da menopausa perchè questo preserva la salute”

e si è così impegnata a perdere ulteriormente peso scendendo al di sotto del peso ideale.
A causa dell’eccessiva magrezza il viso ha iniziato d apparire “tirato” e scavato ed Anna è così ricorsa a qualche ritocco estetico, che però nega decisamente di aver effettuato poichè si vergogna di essere ricorsa ad un aiuto esterno. In fondo se ne vergogna doppiamente perchè la famiglia le ha insegnato che quello che conta sono solo le cose concrete (i soldi, il lavoro, l’impegno in quello che si fa) e non l’aspetto esteriore.

Questa stessa vergogna è ciò che l’ha tenuta ancora per molto lontana dallo studio dello psicologo: Anna è cresciuta imparando a cavarsela da sola e crescendo i fratelli minori quando era ancora una bambina, a causa delle carenze materne, e ancora oggi vive come una vergogna la necessità di chiedere aiuto ad altri.
Questa mentalità non è stata scalfita nè dall’alto livello culturale, nè dalle indubbie doti intellettive di Anna, poichè si tratta di un convincimento che ha profonde radici emotive e che è stato mantenuto vivo per diversi decenni.

Quando Anna è arrivata a consultare uno psicologo non si riteneva per nulla anoressica: si sentiva dire spesso dagli altri che era troppo magra, ma li considerava degli invidiosi o delle persone che che avevano sempre qualche cosa da ridire, a seconda dei casi.
Ha chiesto aiuto perchè la sua vita non andava come voleva, perchè aveva l’ossessione del controllo, perchè tendeva a prendere sulle proprie spalle troppe responsabilità, perchè non era mai soddisfatta e contenta dei risultati raggiunti, che gli altri invece le riconoscevano: aveva continuato insomma a vivere come le era stato insegnato dalla mamma, ma l’ingranaggio si era ormai rotto e i problemi derivanti da quel tipo di infanzia e di carenza affettiva erano ormai esplosi in questa forma di esasperato controllo alimentare che racchiudeva sia la speranza di essere finalmente amata, sia la punizione per non essere stata abbastanza brava e buona da meritare l’amore della mamma quando era piccola.

Con il tempo e l’analisi psicologica Anna ha riconosciuto che si aspettava di ottenere amore diventando “più bella” (che per lei significava “più magra”, anche in reazione alle prese in giro dei coetanei subite da ragazzina, alle quali non aveva saputo come rispondere) e che il suo comportamento era originato da antiche carenze affettive, da una madre assente ed egoista, dall’incapacità di prendersi cura di sè in maniera sana, dal perfezionismo che aveva dovuto coltivare da sempre per poter tenere tutto sotto controllo.

Si è resa conto che privando il suo corpo del nutrimento necessario non aveva ottenuto nulla, se non di auto-danneggiarsi, e che toccava ora a lei prendersi cura di sè stessa senza attendere che la madre, anziana ma in ottima salute, iniziasse prima o poi a farlo.

Le donne come Anna sono tante e a volte hanno storie simili: la loro fragilità emotiva e la profonda solitudine le rende vulnerabili a perdite e distacchi, che le portano a riversare sul cibo l’angoscia sia perseguendo una magrezza malsana, sia perdendo il controllo e abbuffandosi periodicamente.
Chi si riconosce nelle caratteristiche e nella tipologia di donna alla quale appartiene Anna si sente forte e sola, pensa di aver già dato troppo ma non riesce a negarsi, non ha ricevuto abbastanza amore e fa di tutto per essere accettata e amata.
Si tratta di una spirale che solo la terapia psicologica può interrompere.

Approfondimento: “Lifetime and 12-month prevalence of eating disorders amongst women in mid-life: a population-based study of diagnoses and risk factors”

 

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