Uno stereotipo presente nell’immaginario collettivo rispetto alla figura dello psicologo è quello del professionista che ti chiederà sicuramente di parlare della tua vita infantile, di cose accadute “secoli” fa, di ciò che ti sembra non avere particolare relazione con i problemi per i quali, oggi, ti stai rivolgendo a lui (o a lei).
E’ facile sentir dire “non vado dallo psicologo perchè non ho nessuna intenzione di RIVANGARE il passato”, affermazione che di per sè include la PAURA del contatto con ricordi e aspetti dolorosi che si spera di tener chiusi per sempre in un cassetto della mente, senza che mai più se ne parli.
A volte queste emozioni negative sono ammantate da CONSIDERAZIONI PSEUDO-RAZIONALI:
1. “cosa c’entra la mia esperienza negativa all’asilo con gli attacchi di panico che ho oggi?”
2. “che importa se mio padre era sempre al lavoro: avevamo bisogno di soldi e comunque cosa c’entra col fatto che oggi non voglio avere figli?”
3. “come potrebbero mai le botte che ho preso da mia madre e gli insulti che mi rivolgeva rendermi oggi, a distanza di 30 anni, diffidente nei confronti delle donne?”
4. “è vero che da piccolo i miei mi lasciavano sempre solo, ma cos’ha a che fare questo con la mia incapacità di fare amicizia?”
5. “se perdo subito la pazienza con i miei figli mia madre non c’entra, non sono mica come lei!”
6. “anche se mio padre ha tradito mia madre quando ero piccola e ho assistito alle loro litigate, non è certo per questo che trovo solo uomini che mi tradiscono!”… e così via (*).
La lista potrebbe continuare, ma gli aspetti alla base di queste considerazioni sono essenzialmente tre:
– la convinzione che il TEMPO TRASCORSO da fatti dolorosi e situazioni inadatte ad una crescita serena abbiano reso tutto ciò così lontano e sepolto nelle nebbie del passato da non poter avere più alcun effetto sul presente. In realtà l’acqua passata macina ancora, eccome!, al contrario di quanto affermato dal proverbio
– la convinzione che, avendo RAGIONATO sugli errori commessi dai genitori, sulle loro rigidità o assenze eccessive, sull’inconsistenza di certi insegnamenti ansiogeni, tutto debba essere stato superato. In realtà ciò che permane sono EMOZIONI RADICATE, sulle quali il ragionamento può ben poco
– la convinzione che, essendo CRESCIUTI BENE LO STESSO, tutto sommato quanto accaduto nei primi anni non ha più alcun effetto su di noi, che ormai siamo adulti e vaccinati e magari ci ricordiamo poco o anche quasi nulla della nostra infanzia (il che può costituire un CAMPANELLO D’ALLARME rispetto al fatto che l’infanzia e qualcosa che l’inconscio ha voluto rimuovere il più possibile).
IN REALTA’ l’infanzia di una persona è il periodo nel quale si pongono le basi per la crescita futura e alcuni traumi, carenze e distorsioni si radicano ad un livello talmente profondo che solo una psicoterapia può modificarli.
Permangono come CONTENUTI “TOSSICI” che influenzano l’intera esistenza del soggetto, le sue relazioni con gli altri e la percezione di sè, ma il soggetto spesso non può o non vuole rendersene conto, perchè crescendo ha sviluppato la necessità di sentirsi adulto e AUTONOMO e quindi non certo condizionato da fatti e situazioni risalenti a molti o anche moltissimi anni prima.
Nella pratica clinica invece si osservano spesso i danni psicologici e relazionali che pazienti ormai 70-80enni ancora subiscono a causa dei maltrattamenti subiti nell’infanzia, della perdita prematura di uno o entrambi i genitori, di un’adultizzazione precoce fatta di lavoro minorile e/o cura coatta dei fratelli più piccoli, di traumi dovuti alla povertà o alla guerra che non sono mai stati superati, anche a molti decenni di distanza.
Un esempio chiarificatore
Se qualcuno avesse dei dubbi, suggerirò un piccolo esperimento da effettuare mentalmente, senza bisogno di metterlo in pratica. Immaginate due piantine identiche, A e B. La piantina A è collocata in condizioni di temperatura, luce, umidità ottimali, è concimata con regolarità e potata quando serve; la piantina B è collocata all’ombra, riceve acqua solo occasionalmente, si trova esposta a correnti di aria gelida e nessuno elimina le sue foglie secche.
In un secondo momento sia A che B vengono poste in un luogo adatto, con la giusta condizione ambientale, trattamento e nutrimento adeguati.
Secondo voi, A e B ritorneranno a essere uguali come in partenza?
Certo che no: mentre A continuerà a crescere diritta e rigogliosa, B sarà un piantina cresciuta storta per cercare la luce nelle prima settimane di vita, avrà foglie più piccole e rade rispetto ad A e complessivamente conserverà un aspetto e una salute più sgradevole. Probabilmente produrrà meno fiori e forse vivrà anche meno di A. Di sicuro conserverà la stortura acquisita nei primi tempi e le tracce della sofferenza patita per un trattamento poco amorevole e inadeguato.
Allo stesso modo quella STORTURA dovuta alla ricerca della luce e cioè di condizioni più favorevoli, di affetto e di attenzione, segna profondamente i bambini che vivono esperienze infantili sfavorevoli, e non può essere cancellata semplicemente con il miglioramento delle condizioni di vita che il soggetto può procurare a sè stesso da adulto.
E’ una stortura che darà i suoi effetti fino a quando chi l’ha subita non chiederà aiuto a quell’esperto giardiniere che deve spesso essere lo psicologo, che potrà intervenire e limitare gli effetti che i segni del passato hanno lasciato su quel paziente.
Non potrà farlo senza ANALIZZARE COS’E’ SUCCESSO QUANDO IL PAZIENTE SI E’ FORMATO e ha posto le basi della futura personalità adulta, non potrà intravvedere quella stortura e dire “Ma sì, ormai è passato tanto tempo, non occupiamocene!” perchè il suo intervento sarebbe in quel caso parziale e incompleto, quindi probabilmente non risolutivo.
Per tutti questi motivi bisogna rassegnarsi: IL PASSATO E’ CIO’ CHE DA’ FORMA A NOI E AI NOSTRI PROBLEMI, perciò la mamma, il papà, la vita infantile, le esperienze vissute da piccoli non possono restare fuori dalla stanza dell’analisi.
(*) per tutti gli interessati ecco qualche risposta, ovviamente generica, alle considerazioni pseudo-razionali di cui sopra
1. “cosa c’entra la mia esperienza negativa all’asilo con gli attacchi di panico che ho oggi?”
R: Le esperienze negative fatte in solitudine nella prima infanzia, in un ambiente estraneo alla famiglia nel quale si è in balia di adulti con i quali non c’è nessun legame, stimolano paura, senso di impotenza e angosce che, se non correttamente riconosciute e affrontate dai genitori, sono conservate nella mente e portano all’esplosione dell’ansia intesa come paura di morire, di non farcela da solo, di non sapersi difendere dalle minacce molti anni dopo (o anche nel breve periodo)
2. “che importa se mio padre era sempre al lavoro: avevamo bisogno di soldi e comunque cosa c’entra col fatto che oggi non voglio avere figli?”
R: Rapportarsi a un padre assente, preso dal lavoro e vissuto come abbandonico dal bambino (che si sente trascurato in ogni caso) può portare allo sviluppo di un’immagine negativa interiorizzata della figura paterna e a non desiderare figli per non diventare come il proprio padre e farli soffrire come si ha sofferto in prima persona. questo meccanismo a volte provoca INFERTILITA’ DI ORIGINA PSICHICA.
3. “come potrebbero mai le botte che ho preso da mia madre e gli insulti che mi rivolgeva rendermi oggi, a distanza di 30 anni, diffidente nei confronti delle donne?”
R: Quando la donna che ci ha messi al mondo non ci fornisce cure e affetto, ma utilizza metodi fisici e insulti per ottenere ubbidienza è difficile riuscire a creare un’immagine positiva della figura femminile. Questo può portare le figlie, una volta cresciute, a non volere bambini o a non riuscire ad averne (come detto sopra per i maschi), e i figli ad aspettarsi che le donne siano tutte così – e, per un meccanismo inconscio, a legarsi proprio a donne che li maltratteranno o che saranno comunque dominanti rispetto a loro. Il risultato finale sarà o una relazione di coppia sado-masochistica o l’abbandono della speranza di trovare “la donna giusta”.
4. “è vero che da piccolo i miei mi lasciavano sempre solo, ma cos’ha a che fare questo con la mia incapacità di fare amicizia?”
R: L’isolamento vissuto nell’infanzia porta a due conseguenze sulla via successiva: il mancato sviluppo delle abilità sociali (come ci si rapporta ai propri pari? come ci si fa rispettare da loro? come si negozia una decisione congiunta senza subire le scelte degli altri?) e la percezione di diversità rispetto agli altri.
Tutto questo conduce ad ulteriore isolamento che può proseguire, anche in forma attenuata, per il resto della vita.
5. “se perdo subito la pazienza con i miei figli mia madre non c’entra, non sono mica come lei!”
R: Il modello genitoriale materno è fondamentale per le figlie. Si interiorizza nel corso dell’esperienza nella famiglia d’origine e quindi nei lunghi anni della crescita e, anche quando è razionalmente rigettato perchè è stato carente e fonte di sofferenze, si riattiva quando si hanno dei bambini e si diventa a propria volta genitrici.
Non di rado alcune madri a un certo punto realizzano con orrore “Sono proprio diventata come mia madre!” oppure razionalizzano, dicendosi che in fondo sono “cresciute bene lo stesso” (sic!) e che quindi la mamma aveva ragione a trattarle così.
6. “anche se mio padre ha tradito mia madre quando ero piccola e ho assistito alle loro litigate, non è certo per questo che trovo solo uomini che mi tradiscono!”
R: Per una figlia il papà è il prototipo dell’universo maschile. E’ nel rapporto con lui che sviluppa sia l’autostima, sia la considerazione di sè come femmina e futura donna. Un padre assente, che non sostiene e non fa mai complimenti alla figlia la renderà affamata di attenzioni maschili e un padre che, oltre ad essere assente, tradisce la madre, la convincerà che tutti gli uomini sono traditori, portandola involontariamente (inconsciamente) a scegliere proprio partner inclini al tradimento sessuale. Verrà quindi a mancare la libertà di scegliere un partner con il quale creare un rapporto sereno e non disfunzionale e le delusioni si accumuleranno nel tempo, allontanando sempre più la speranza di conoscere un uomo “diverso”.
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