Amicizie e pandemia, i rapporti persi con il Covid

Il periodo della pandemia e dei lockdown ha generato molte conseguenze negative sulla salute mentale delle persone e in molti casi anche sui rapporti interpersonali. Questo ė accaduto a tutte le età, dagli adolescenti che hanno vissuto l’isolamento della DAD fino alle persone anziane, tenute al riparo dai rischi e quindi spesso isolate, soprattutto se ricoverate e private delle visite esterne dei parenti.
Escludendo questi due estremi ci concentriamo ora su giovani e adulti che avevano relazioni d’amicizia che sono andate perse nel corso degli anni delle restrizioni, che spesso hanno rappresentato l’innesco all’allontanamento delle persone le une dalle altre.
Se si affronta l’argomento si scopre che molte persone soffrono ancora oggi, a quasi 4 anni di distanza dal 2020, per i rapporti terminati, gli amici che non vedono più, li ritrovi improvvisamente cancellati e mai ripristinati e c’è chi reagisce depressivamente o incolpandosi per i profondi cambiamenti che sono avvenuti e che hanno riguardato tutti, in maniera più o meno consistente.

Quando le attività sociali sono state fortemente limitate, scoraggiate e sanzionate, molte persone hanno iniziato ad allontanarsi e a perdere l’abitudine a frequentarsi che avevano avuto fino a quel momento. Che fosse per paura del Covid o per il mero rispetto delle regole in vigore al momento, la separazione si è creata improvvisamente a partire dal fulmineo inizio del lockdown di marzo 2020, con l’impossibilità di incontrare gli altri e la possibilità di uscire di casa unicamente per poche motivazioni ben specifiche.

L’iniziale isolamento forzato ha generato uno shock nei rapporti e la ricerca della sopravvivenza psichica al terrore della malattia ha condotto molti a concentrarsi su diverse attività, perdendo di vista le relazioni con gli altri. Il ricorso a hobby casalinghi improvvisati, come la cucina (rimarrà nella memoria collettiva la scomparsa del lievito dagli scaffali dei supermercati), ha allontanato dal pensiero quello che al momento non era attuabile, cioè l’incontro con gli altri.
Quei primi due mesi di lockdown stringente hanno portato le persone a reagire in maniera traumatica alla riapertura di maggio 2020 e cioè, in diversi casi, a non frequentare più tranquillamente le persone amiche, ma a guardarle con sospetto e paranoia come possibili vettori del Male, dopo la ripetizione ossessiva delle indicazioni sul distanziamento sociale e sul pericolo degli ”assembramenti”.
L’amico che si frequentava fino a un paio di mesi prima era all’improvviso diventato una potenziale fonte di malattia e questo ha portato una certa quota di persone a mantenersi isolate e, successivamente, ad incontrare gli altri con riluttanza e ad utilizzare compulsivamente presidi germicidi come il gel disinfettante, adottando comportamenti scaramantici tipici del Disturbo Ossessivo-Compulsivo ormai socialmente legittimati e quindi non vissuti come patologici.

La paura del contagio, però, non spiega del tutto l’allontanamento e la perdita dei rapporti ed ė importante considerare un secondo fattore: i mesi di lockdown hanno fatto perdere abitudini consolidate che erano in realtà abitudini vuote, formali, ormai stantie, delle quali molti non intendevano liberarsi anche per mancanza di alternative. Questo importante cambiamento è un’occasione per riflettere sui rapporti che si intratteneva prima che scoppiasse la pandemia e per chiedersi:

§ quali persone vedo molto meno rispetto a prima, o non vedo più del tutto?
§ di che natura era il nostro rapporto? Si trattava di una vera amicizia o solo di abitudine a vedersi per riempire del tempo vuoto?
§ quali rapporti ho mantenuto, e magari consolidato, da quando è iniziata la pandemia?
§ che differenza c’è fra le persone che non vedo (quasi) più e le persone che invece mi sono rimaste accanto?

A mio parere, nonostante la natura traumatica del cambiamento, rappresenta un’occasione irripetibile quella di “tagliare i rami secchi” concentrandosi unicamente sui rapporti che contano, che cono proseguiti e cresciuti nel tempo.
Le persone che si sono dileguate o hanno iniziato a negarsi spesso rappresentavano unicamente presenze di facciata e non “di sostanza” nella nostra vita ed è un bene che ci sia stata l’occasione per allontanarle o per mantenere dei rapporti solo occasionali e formali, come in realtà erano già prima che ce ne accorgessimo ( e forse non volevamo rendercene conto per non affrontare il problema).

Riflettere sul fatto che non tutto il male vien per nuocere significa esser capaci non solo di vedere anche i risvolti positivi di situazioni tristi o sgradevoli, ma anche essere capaci di dare nuove opportunità a sé stessi e agli altri – cioè a chi se le merita.
Scoprire che certi rapporti erano basati su falsità, abitudine, vuote buone maniere e null’altro non può che rappresentare un trigger per importanti cambiamenti relazionali nella direzione di un’esistenza più piena e soddisfacente.
Inutile forse aggiungere che questo vale per tutti: amici, conoscenti e parenti (cioè persone che nessuno ha scelto di avere nella propria vita).
Certi allontanamenti e certe perdite non sono altro che opportunità per impiegare in altre direzioni le proprie energie e, in ultima analisi, per costruire una vita più soddisfacente, frequentando chi realmente tiene a noi e creando legami con persone che hanno in comune con noi molto più di quello che potevano avere le persone che si sono allontanate.

Suggerisco di rifletterci e di investire le proprie energie nelle direzioni giuste e sulle relazioni giuste!

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