Dipendenza emotiva

Dipendenza affettiva: vuoi superarla, ma…ne soffri?

Cos’è la dipendenza affettiva?

La dipendenza affettiva qualifica una relazione (sentimentale, familiare, amicale) che non si riesce ad abbandonare nonostante provochi disagio e non si tratti di un rapporto equilibrato e soddisfacente.
Chi ne soffre può non rendersene conto e alcune persone temono di essere dipendenti emotivi quando in realtà sono soggetti evitanti, cioè agli antipodi rispetto ai dipendenti.

Le persone che soffrono di dipendenza affettiva tendono ad “attaccarsi” eccessivamente, a considerare le relazioni più strette ed intime di quanto non siano (ad esempio sentendosi in breve tempo “molto amiche” di qualcuno che hanno conosciuto da poco). Possono perdere la capacità di fare scelte autonome (necessitando della conferma e dell’approvazione dell’altra persona) e spesso si aspettano di svolgere la maggior parte o tutte le attività con la persona dalla quale sono emotivamente dipendenti e verso la quale provano gelosia e terrore dell’abbandono.
Questo tipo di legame disfunzionale fra persone adulte può nascere sia all’interno della coppia, sia nei confronti di un familiare o di una persona amica. La spinta affettiva può infatti dirigersi verso qualcuno che si incontra ex novo o verso qualcuno che si conosce da sempre: un genitore o un parente verso cui si è creata dipendenza nell’infanzia, senza che il legame evolvesse verso una maggiore autonomia, oppure il partner o una persona amica.
Particolare menzione merita il legame fra gemelli, che condividono un sentimento reciproco unico e improntato alla condivisione dell’esistenza fin dai mesi della gestazione. Il loro legame può renderli eccessivamente coinvolti l’uno nella via dell’altro e può portarli a mettersi reciprocamente al primo posto rispetto alle altre relazioni, inclusa quella di coppia.

Da cosa nasce la dipendenza emotiva?

Il prototipo del legame dipendente è la simbiosi con la madre che ogni neonato instaura su spinta biologica, poichè è necessario per la sua sopravvivenza, e che ha un ruolo psicologicamente fondamentale nella prima infanzia. Questo rapporto permette infatti di fare esperienza di un legame esclusivo, basato sulla fiducia che il neonato impara a riporre nell’Altro e che gli servirà nel corso della vita per essere in grado di rapportarsi con gli altri.
Le persone che tendono alla dipendenza affettiva cercano negli altri quella presenza costante e rassicurante che hanno sperimentato nella figura materna. E’ una presenza che alimenta l’autostima e consente di superare una sensazione di solitudine che può essere reale o solo temuta, ma sempre legata alla sensazione di inadeguatezza e disvalore.
La persona dalla quale questi soggetti dipendono è infatti percepita come migliore di loro, più forte, più “grande”, capace di rispondere alle loro esigenze sul piano sia emotivo che concreto. Si tratta a tutti gli effetti di una riproposizione del legame madre-bambino, nel quale il bambino è piccolo, debole e bisognoso e la madre è grande, capace, potente. Questo squilibrio è solitamente presente nei legami connotati da dipendenza e per questo il soggetto dipendente non riesce a prendere le distanze dalla persona che vive come fonte di appagamento emotivo, sicurezza, riconoscimento del suo valore.
Allontanarsi da una figura che – apparentemente – dà così tanto è estremamente faticoso e percepito come pericoloso, per il rischio di perdere ciò che si trae da quel legame.

Dipendenza emotiva

Dipendenza affettiva e narcisismo

Un esempio di legame dipendente che il soggetto più debole non riesce a spezzare è quello che si crea con un narcisista che gli/le fornisce in qualche modo un senso di valore e di importanza: pur scemando nel tempo ed essendo sostituito progressivamente da accuse e critiche, rimane sempre in sottofondo anche solo come “nutrimento emotivo” desiderato e agognato.
Pur non ricevendo più attenzioni e riconoscimento, infatti, il partner del narcisista non si allontana perchè si aspetta di ottenerne nuovamente. Si incolpa per il cambiamento di atteggiamento del narcisista, non sentendosi alla sua altezza e meritevole di riceverne la stima e l’affetto (sia nei rapporti di coppia che in quelli amicali), e pensa di dover “migliorare” per esserne degno.

Dipendenza emotiva e rabbia

Riassumendo, la persona emotivamente dipendente tende a far dipendere dall’Altro il proprio benessere. Sente di non poter vivere serenamente – o perfino di sopravvivere – in sua assenza, perciò non si allontana e fa di tutto per scongiurare la fine del rapporto, come potrebbe fare un bambino minacciato di abbandono dalla madre.
Questa dinamica disfunzionale, che sostituisce il rapporto paritario con l’Altro, spesso è misconosciuta o riconosciuta solo in parte da chi ne è protagonista perchè fa parte del suo modo di essere, in maniera solo accennata o anche francamente patologica (Disturbo Dipendente di Personalità).
Chi riconosce di poter essere un soggetto dipendente se ne rende conto perchè non è felice, ma non riesce a rompere il legame frustrante che vive. Incolpa anzi sè stesso per la natura non soddisfacente di tale legame, considerandosi “sbagliato”, inadeguato, non all’altezza nè meritevole di ricevere un trattamento diverso dalla persona dalla quale dipende.
Non di rado l’infelicità genera rabbia, aggressività agìta contro di sè o contro l’Altro, rivendicazioni, comportamenti controllanti al limite del persecutorio (stalking) verso la persona che non si presta a condividere un legame che può diventare asfissiante ed insopportabile.
Quando la rabbia si riversa sull’Altro si può arrivare ad atti estremi come l’omicidio, che indica l’incapacità di pensare ad una vita autonoma e separata dall’Altro. Quando l’aggressività si riversa contro di sè può portare ad atti autolesionistici e gesti come il tentativo di suicidio, attuati per richiamare l’attenzione sulla propria disperazione e impossibilità di vivere senza l’oggetto della dipendenza.
Si tratta di casi estremi, ma la tendenza ad attuare comportamenti aggressivi e/o dimostrativi meno gravi è ampiamente presente in molti legami connotati da dipendenza affettiva.

Ho paura di essere un dipendente emotivo

Come dicevamo, alcune persone si rendono conto della propria tendenza alla dipendenza e altre ci riescono solo in parte, a partire dalla propria sofferenza. Altri si ritengono dipendenti emotivi quando sono invece soggetti evitanti, che tendono cioè a mantenere una certa distanza emotiva e a difendersi dalla possibilità di far dipendere il proprio benessere da altre persone.
Com’è possibile che una persona evitante ipotizzi di essere un soggetto dipendente? Questo auto-fraintendimento nasce dalla paura profonda che le persone evitanti nutrono nei confronti dei legami troppo stretti, che possono diventare deprimenti, deludenti, esasperanti. La prospettiva di vivere un rapporto stretto che si riveli disastroso o doloroso “previene” quella vicinanza emotiva che il dipendente instaura precocemente, senza mantenere il senso dei confini che separano le persone. Questa paura della vicinanza e dell’intimità fa sì che la persona evitante legga come possibili dipendenze i rapporti con gli altri che ha instaurato e che di rado – o mai – sono rapporti realmente profondi sul piano emotivo.
In alcuni evitanti l’allerta scatta in situazioni comuni come quella di provare solitudine se si è da soli e non si hanno impegni o attività da svolgere: sentire la mancanza degli altri è per loro già segno di una possibile dipendenza, invece di una risposta emotiva comunissima e fisiologica.

Dipendente emotivo o evitante?

Dipendente o evitante?

Come nella dipendenza, anche nell’evitamento esistono sia tendenze lievi che veri e propri disturbi da trattare clinicamente (Disturbo Evitante di Personalità e Disturbo Schizoide di Personalità).
Più una persona evitante teme la vicinanza e i pericoli che può nascondere, più tenderà a considerare troppo stretti i suoi rapporti con gli altri e quindi a ritenersi una persona dipendente. Questo accade non di rado proprio per la sopravvalutazione dell’intimità raggiunta con gli altri e quindi per la paura di essere caduti nella “trappola” che si voleva evitare: quella di avere dei legami affettivi nei quali investire, che possono trasformarsi in perdite tanto più gravi, quanto più massiccio è l’investimento emotivo.

Dipendenza emotiva: come superarla

In conclusione, sia la paura del distacco che la paura della vicinanza possono nascondere la paura di soffrire, per motivi opposti e complementari.
E’ la stessa paura di perdere il controllo della situazione a spingere le persone dipendenti a misconoscere il loro problema e le persone evitanti a ritenersi erroneamente dipendenti.
Se la dipendenza può essere un problema e riguardare anche altri oggetti (farmaci, sostanze, comportamenti), l’evitamento ostacola allo stesso modo la possibilità di creare relazioni soddisfacenti.
In entrambi i casi è importante lavorare sulle relazioni primarie della persona, su ciò che è “andato storto” nella sua storia e lo sta ancora condizionando inconsapevolmente. E’ possibile infatti correggere gli schemi mentali automatici generati nella prima parte della vita e fare in modo che non abbiano più la stessa influenza.

La consapevolezza dei meccanismi che provocano dipendenza o evitamento è un fondamentale primo passo verso il cambiamento e per questo motivo consiglio due letture:
“Una base sicura” di John Bowlby
“Illusioni d’amore” di Jole Baldaro Verde

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